Le invasioni barbariche, ovvero il grande colpo di spugna

Volendo molto semplificare, possiamo parlare di una cucina “italiana” (tra virgolette, perché non esisteva ancora la nazione Italia, ovviamente) che precede le cosiddette invasioni barbariche e una, molto più simile all’attuale, che segue quel periodo.

Moltissime delle nostre ricette tradizionali sono state anzi codificate proprio dopo la caduta dell’Impero romano.

Quelle che invece normalmente associamo alla civiltà sorta all’ombra dei Sette colli sono andate perdute. Parliamo delle stravaganze che ci sono state raccontate da specialisti come Apicio o altri osservatori dei costumi capitolini, per esempio Catone: talloni di cammello, lingue di usignolo, colli di fenicotteri farciti. Perché queste ricette non si mangiano più?

Dai barbari agli arabi

Dall’anno 166, momento in cui per la prima volta sono documentate le “calate” in Italia delle popolazioni confinanti con l’Impero romano, quelle scorrerie procedono a cancellare la classe più ricca della società: i barbari dopotutto cercavano bottini, e chi ne aveva di più? Proprio i più abbienti, ovvero chi mangiava in maniera più elaborata.

In un contesto politico già in profonda crisi, l’atto fisico di invadere la penisola e conquistare quell’élite è stato anche cancellarne i costumi e i privilegi. Le conseguenze delle invasioni hanno portato alla dispersione dei saperi, anche quelli legati alle arti culinarie dell’epoca, e alla decapitazione degli approvvigionamenti delle materie prime che gli abitanti dell’Impero consideravano più raffinate.

Ma attenzione, perché le invasioni non sono state solo distruttrici. Barbari, Arabi, Normanni: ognuno ha portato le proprie abitudini, comprese quelle alimentari, sul territorio italiano.

La pasta secca, per esempio, sarebbe stata introdotta durante la dominazione islamica della Sicilia, mentre alle popolazioni germaniche passate dalle nostre parti si dovrebbe la diffusione della birra, soprattutto nel Nord Italia, insieme con il ricorso frequente alla carne rossa e all’uso dei grassi animali per condire e cucinare.

Non si tratta di particolari di poco conto, perché la “cucina delle masse” fino a quel momento era stata per lo più vegetariana e basata su zuppe, con il ricorso frequentissimo a legumi e cereali tuttora considerati “minori” come il farro o l’avena.

Senza toccare ancora il momento spartiacque della scoperta delle Americhe, il quadro dell’alimentazione italiana si fa più complesso ancora con l’ingresso in scena di Ottomani, Spagnoli, Francesi e, più avanti, Austriaci: tutti con un’influenza notevole. Si devono a loro riti e ingredienti che diamo per scontati nelle nostre cucine. Dal caffè al croissant, passando per salse e… cotolette.


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