Nell’immaginario comune contemporaneo i ristoranti sono luoghi (spesso) raffinati, con un’attenzione maniacale nei confronti del cliente, dove ogni dettaglio viene curato e (altrettanto spesso) premiato da riviste specializzate, guide gourmet, festival e critici gastronomici.
Il tutto per un indotto che fa girare la testa, e somiglia tanto al bilancio di una nazione.
Una storia che accompagna l’uomo
Se è ovvio che non tutti i ristoranti italiani sono così, e si va da quelli più alla buona a quelli stellati, è però fuori da ogni dubbio che il comun denominatore di ognuno di essi sta in una forma primitiva di ricovero che doveva offrire riposo e cibo a chi si spostava per lavoro. C’erano viaggiatori nell’antico Egitto, in Grecia o all’epoca dell’Impero romano che dovevano fermarsi per la notte in luoghi protetti per non essere vittime di aggressioni da parte di banditi.
Sono le prime locande, dove i pasti sono molto semplici e di sicuro non c’è un menu disponibile. Anzi, le sperimentazioni sono ridotte al minimo e nascono quasi per caso, dagli scambi con dei mercanti di passaggio, che offrono parte di quanto trasportato, magari cibo, in cambio di un tetto sulla testa.
I primi “veri” ristoranti
Per arrivare a un concetto di ristorante più vicino a quello corrente bisogna spostarsi verso la Francia dopo gli anni della Rivoluzione francese: esistevano già dei “traiteurs” (parola che è proprio uguale alle nostre “trattorie”), ma dopo l’eliminazione delle classi nobili furono molti i cuochi rimasti senza lavoro che decisero di iniziare a lavorare in questi luoghi, rilevandoli e trasformandone l’essenza. È in quel momento che inizia a nascere la gastronomia.